domenica 1 maggio 2011

PRIMO MAGGIO: LA FESTA DEL LAVORO CHE NON C'E'



Che cosa festeggeranno il Primo di Maggio i disoccupati, i cassintegrati, i sottoccupati, che cosa festeggeranno i saltuari, i precari, gli occasionali, gli stagionali, quelli che lavorano oggi e non si sa domani. Quelli che a cinquant’anni hanno perso il lavoro, i giovani che non sanno se un lavoro ce l’avranno, tutti quelli che studiano e non vedono una luce, tutti quelli che
hanno anche smesso di studiare.

Che cosa festeggeranno quelle famiglie meridionali che con meno di mille euro al mese pagano l’affitto o il mutuo, pagano le bollette, mandano i figli a scuola, gli comprano i libri, i vestiti, le scarpe, aspettano i saldi di fine stagione, fanno la spesa al supermarket, pagano le rate dell’auto, pagano le rate di tutto, e che Dio le faccia stare bene, queste creature, perché se non stanno bene poi devono pagare altro.

Che cosa festeggeranno i figli e le compagne e le madri dei morti sul lavoro, di quelli che sono usciti un mattino e non sono più tornati. Che cosa festeggeranno i pensionati che hanno lavorato una vita intera per quei quattro soldi che prendono e contemporaneamente lasciano sul conto del nipote che non lavora per cui non prenderà neppure quella miseria di pensione che prendono loro.

Noi non sappiamo per cui non possiamo dire che cosa festeggeranno. Lo dicano i politici di ogni parte degli ultimi quarant’anni, lo dicano gli economisti di ogni scuola, tutti quelli che sanno e che hanno la possibilità di progettare, di investire risorse umane e finanziarie, di proporre, di decidere le soluzioni di questi problemi. Lo dicano loro.

Che cosa festeggeranno quelli che ogni santo giorno consultano siti e giornali con le offerte di lavoro, in una specie di caccia al tesoro che si fa sempre più misterioso. Quelli che mandano il curriculum ad uffici,aziende, imprese e aspettano una risposta che non viene, che sostengono colloqui per sentirsi dire ogni volta le faremo sapere, che sommano specializzazioni, qualifiche, corsi, master, stage, per accaparrarsi un punto in una graduatoria, che bussano a porte che restano serrate.

Che cosa festeggeranno quelli che per trovare qualcosa da fare devono ancora scappare dal Sud, quelli che devono accontentarsi, che devono accettare un’attività incoerente con le loro competenze, quelli che cercano un’occasione, quale che sia, circoscritta, discontinua, temporanea, che se non gli permette di sognare il futuro almeno gli fa sopportare meglio il presente.
Nel suo discorso di fine anno il Presidente della Repubblica ricordò che le persone in cerca di occupazione sono tornate a superare i due milioni, di cui quasi uno nel Mezzogiorno, che il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni ha raggiunto il 24,7 per cento nel Paese e il 35,2 nel Mezzogiorno. Disse: «Sono dati che debbono diventare l’assillo comune della Nazione». Poi aggiunse che se ai giovani non apriamo «nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti: ed è in scacco la democrazia».

Certo che nessuno vuole perdere la partita del futuro, anche perché è una partita senza tempi supplementari, senza calci di rigore, che non si vince a tavolino. Nessuno vuole che la democrazia si ritrovi sotto scacco. Non ricordo chi diceva che il futuro non è un dono ma una conquista. È la conquista di un uomo ma anche quella di una comunità. Un uomo e una comunità sono legati da una relazione sostanziale, da un destino di reciprocità. Una comunità conquista futuro ogni qualvolta che un uomo conquista il suo.

Allora ha ragione il Presidente Napolitano: che i dati della disoccupazione diventino l’assillo di questa Nazione, che inquietino il sonno, che tormentino ciascuno, che diventino impegno d’onore, fantasia, energia. Perché al prossimo Primo di Maggio si possa festeggiare il futuro. Tutti insieme. Nessuno escluso.


di Antonio ERRICO dal "Nuovo quotidiano di Puglia.it"

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