domenica 8 maggio 2011

L'ALBA DELLA LIBERTA'


La lapide con la scritta di una parte dei caduti della rivolta

Nel parlare dei moti risorgimentali italiani si citano spesso le giornate delle eroiche difese di Milano, Napoli, Venezia, ma raramente si ha notizia delle eroiche due giornate di Livorno.      
Nel 1848 Iniziano in Italia e in Toscana i primi moti insurrezionali. Il 6 Gennaio Livorno insorge, per le strade iniziano i volantinaggi liberali e il 9 gennaio il ministro Ridolfi fa arrestare il Guerrazzi, per attività sovversiva, ma il 15 febbraio il Granduca, pressato dagli avvenimenti, ma che fu per questo gesto da alcuni definito principe riformatore, concede lo statuto e di conseguenza torna in libertà.
Viene emanata dal Granduca anche la legge elettorale e quella sulla libertà di stampa .
Di Leopoldo lo scrittore Biagi dice che “L'Italia l'han fatta in molti ma non bisogna dimenticare quelli, come Leopoldo II, che l'han lasciata fare.
2500 volontari livornesi partono per la lombardia per combattere per l'indipendenza italiana; lo stesso granduca invia un corpo di spedizione in aiuto sotto l'insegna tricolore con lo stemma mediceo al centro.
Ma tutto ciò fa risentire Il governo Austriaco cui non piace che il ramo cadetto di casa Lorena (e potenziale prossimo imperatore d'Austria) aiuti i nemici dello Stato. e Leopoldo viene richiamato a migliori consigli.
Ma nonostante una certa permissività nel granducato, il clima insurrezionale si fa sentire anche a Livorno.
Il 27 Agosto durante una sommossa, il popolo entra a forza nel forte S. Bernardo, detto anche di Porta Murata, sfonda i magazzini e si arma per poter far fronte alle truppe governative Leopoldine. In piazza grande avvengono vari scontri con numerosi morti e feriti..
Il Guerrazzi entra in una commissione governativa e Montanelli è nominato governatore di Livorno
Il 24 ottobre giunge Giuseppe Garibaldi acclamato dalle folle e arringa i livornesi dal balcone di un albergo.
Il 27 ottobre il granduca nomina ministri Guerrazzi e Montanelli nel primo ministero democratico d'Italia.
Si arriva così al 1849, il 21 febbraio Il Granduca timoroso delo svilupparsi degli eventi trovandosi già a Porto S. Stefano si imbarca su un legno inglese e si rifugia a Gaeta.
Dopo episodi sfortunati i patrioti toscani sono scoraggiati e cedono lentamente al restauro dei Lorena, solo Livorno resiste.
Giunge a Livorno Giuseppe Mazzini e dal palazzo del governatore esorta i livornesi ad aver fiducia nel nuovo governo che sostituisce il granduca dichiarato decaduto.
A Firenze avvengono conflitti con le truppe governative, il Guerrazzi è arrestato e il 12 aprile il comune fiorentino dichiara restaurata la monarchia costituzionale di Leopoldo II.
Il 18 Aprile non accettando la decisione della restaurazione, i livornesi dichiarano il tradimento del comune di Firenze e proclamano la resistenza. Si preparano le trincee e le armi decisi a resistere ad oltranza, nonostante gli appelli del vescovo Gavi alla moderazione.
La statua di Leopoldo II viene abbattuta di cittadini in tumulto; Il Demi offeso dal trattamento della sua opera, abbandona la città. (La statua dopo anni di abbandono in magazzini comunali è stata ripresa negli anni '60 del '900 e collocata nell'attuale sede di piazza XX Settembre).
Il 21 aprile giunge notizia che truppe fiorentine si avvicinano a Livorno, si batte la generale e si chiama il popolo alla difesa, si scavano buche e trincee e si appostano i cannoni alle fortificazioni ed ai lupi.
Al porto giunge il piroscafo francese La Mouette con a bordo 350 volontari lombardi ma dal comandante delle navi francesi ancorate in porto viene loro proibito lo sbarco e quei difensori si allontanano e vanno a ingrossare le file dei difensori della repubblica romana.
IL barone d'Aspre al comando di un esercito austriaco entra intanto in toscana il 5 maggio dichiarando di venire da amico per permettere il ritorno alla monarchia Lorenese.
Le truppe austriache al comando del barone d'Aspre, forti anche di un contingente modenese di 5000 uomini con il duca di Modena in Testa marciano su Livorno, arrivano prima a Pisa con la ferrovia da Lucca, (primo esempio al mondo di trasporto truppe per via ferroviaria), sorprendendo nel sonno i patrioti pisani che non se lo aspettavano, e catturandoli tutti senza colpo ferire,
Il 9 di maggio il D'Aspre passa in rivista il suo corpo d'armata dispensando a molti una medaglia d'argento con l'effigie dell'imperatore e la scritta “Italia vinta - Dio l'ha voluto “ per rivalsa per la medaglia distribuita dal Granduca ai volontari toscani in Lombardia che portava la scritta “Italia unita – Dio lo vuole”
Il 10 di maggio, gli Austriaci, grazie ai consigli di delatori pisani, puntano su Livorno giungendo senza essere notati fino ai ponti di Stagno, e dopo aver intimato la resa incondizionata fermamente e sdegnosamente respinta dai difensori, forti di oltre 50 cannoni iniziano il bombardamento della città e passano all'attacco con forze dieci volte superiori ai difensori livornesi.
I nostri pochi cannoni posizionati ai Lupi, al forte San Pietro e al Marzocco, grazie a validi artiglieri, aprono vuoti nelle file austriache, ma a questo punto dalle navi inglesi alla fonda nel porto viene intimato al capitano del marzocco di cessare immediatamente il fuoco di resistenza contro gli austriaci, inviando un'imbarcazione a portar via i troppo bravi artiglieri, minacciando di cannoneggiare dal mare la torre che e' così costretta all'inattività, e permettendo quindi il conseguente posizionamento delle batterie austriache .
La difesa più forte resta il forte San Pietro dove i bravi artiglieri tengono in scacco gli assedianti per tutto il giorno 10 fino al mattino dell'11.   

Dopo un giorno ed una notte di continui combattimenti gli austriaci l'11 maggio 1849 aggirate prima le posizioni da sud dove la difesa era più debole giungono al lazzaretto di S. Iacopo, sfondano prima ai lupi e aprono poi una breccia a porta San Marco ed entrano in città da varie direzioni ed a nulla vale l'eroismo dei difensori guidati dal Piva e da Andrea Sgarallino ai lupi che si ritira dapprima verso porta fiorentina e raggiunge poi assieme ai suoi “ bersaglieri della morte ” l'eroico Enrico Bartelloni, detto il “ gatto ” alla porta San Marco, sono con loro anche Ippolito Nievo, Giuseppe Ravenna; Il maggiore Ghilardi e il Colonnello De Serre dirigono la difesa.
Il Piva tenta invano di uccidere il duca di Modena in un agguato fuori dei lupi, ma un improvviso scarto del cavallo salva il duca dal colpo mortale, che ferisce un aiutante al suo fianco.
I patrioti resistono strada per strada costruendo improvvisate barricate sulla via Augusta Ferdinanda e via del Principe (attuali vie Palestro e Solferino) retrocedono sparando dai tetti e dai campanili.
Anche da Porta a Mare e dalle altre porte le truppe austriache forti di circa ventimila uomini travolgono la pur strenua resistenza delle poche centinaia di livornesi rimasti e dilagano per la città, fucilando quanti incontrano e depredando e saccheggiando abitazioni o quanto trovano sul loro cammino.
Anche il cappellano G.B. Maggini, avendo apertamente parteggiato per gli insorti, catturato e riconosciuto, viene fucilato.
Alle 10 del 11 maggio finisce quella che qualcuno definì impropriamente la “ generosa follia ”.
Andrea Sgarallino, il Piva e Giovanni Guarducci con altri difensori arretrati verso la marina trovano scampo a bordo di navi straniere che ne proteggono la fuga.
Alle due pomeridiane alcuni popolani tra cui Bucalossi e Contarini aprono il fuoco da una soffitta di un alto palazzo dietro il duomo sulle truppe austriache accampate provocando lo scompiglio generale tra le truppe stesse, che credettero ad un assalto in piena regola e provocandone una reazione esasperata che porto a perquisizioni, devastazioni e fucilazioni indiscriminate di quanti si trovavano nei pressi.
Il giorno stesso sono condotti nel lazzaretto di S. Iacopo otto individui trovati dispersi qua e là dei quali solo alcuni avevano preso le armi ; tenuti ammanettati in un sotterraneo, furono la mattina dopo fucilati senza processo. Venti anni dopo le loro ossa furono trasportate solennemente al cimitero comunale dove giacciono in una tomba monumentale scolpita da Lorenzo Gori con una lapide a memoria.. Successivamente in tempi recenti una lapide in Piazza San Marco viene posta accanto alla porta per tramandare ai posteri la gloriosa pagina di storia livornese
Il 14 maggio il Bartelloni visto tutto perduto si fa arrestare volontariamente dagli Austriaci gridando loro il suo disprezzo e viene pertanto fucilato la sera stessa in fortezza vecchia dopo un sommario processo, cadendo al grido di viva l'Italia. Al cimitero comunale lo ricorda una lapide con una epigrafe dettata dal Guerrazzi.
Per tutte queste gesta il gonfalone della città di Livorno sarà poi decorato nel 1906 con la medaglia d'oro al Valore. Nella sala delle adunanze del consiglio comunale una lapide è stata posta nel cinquantenario della difesa.
Da notare che al seguito delle truppe austriache c'e anche il barone Bettino Ricasoli, che per i coraggiosi difensori livornesi ha solo parole di disprezzo, ed al quale è stata comunque poi intitolata una strada della nostra città. !!
Nei due giorni di scontri le perdite degli austriaci ammontano a diverse centinaia di uomini, quelle dei difensori tra caduti in combattimento e fucilati a circa 90 unità
Finita e consolidata la conquista della città gli austriaci lasciano a Livorno un presidio di circa 4000 uomini al comando del conte di Crenneville, uomo prepotente e violento, che fa volentieri bastonare la popolazione inerme e quindi odiato da tutti i Livornesi.
Il 13 febbraio 1850 Leopoldo II ritorna a livorno ma l'accoglienza stavolta è fredda e non vi sono feste in suo onore.

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